Le carte e il «destino linguistico della Svizzera»

07. Ago.. 2024

Libro da campo con nomi geografici della Val Bavona. Ad esempio, il veterinario A. Sartori ha fornito informazioni (all'estrema destra). swisstopo, collezione di carte, libro di campagna 495, 1896

Poncello o Puntcell? Illarsaz o Illarse? Kalbermatt o Chalbermatt? Nel tempo, l’ortografia dei toponimi svizzeri è stata spesso al centro di accese discussioni in tutte le regioni del Paese. Particolarmente controversa è risultata essere soprattutto la ricerca del giusto equilibrio tra lingua scritta e dialetto.

Sebbene le carte topografiche puntino all’obiettività, esiste uno specifico elemento cartografico che per natura non risponde a questa pretesa: nessuno strumento al mondo, infatti, permette di misurare i nomi di insediamenti, pascoli, valli e fiumi. Per conoscerli, occorre interpellare la popolazione locale. Come si chiama questo alpeggio? Come chiamate quella collina? E qual è il nome del ruscello?

Questa forma insolitamente soggettiva di raccolta dei dati ha comportato una serie di sfide nella storia della cartografia svizzera, in particolare per quanto riguarda la scelta tra lingua parlata e lingua scritta.

Bargaiot e italiano

In Val Bregaglia la popolazione parla un dialetto locale, il «bargaiot». Ha tratti comuni con il lombardo e il retoromancio e si differenzia nettamente dalla lingua scritta italiana. Tuttavia, quando nel 1876 fu pubblicato il foglio Maloja della carta Siegfried, del bargaiot non c’era traccia: i nomi geografici della Val Bregaglia erano stati tutti italianizzati secondo le regole della lingua scritta.

Non si sa bene cosa abbia spinto i cartografi a intervenire in modo radicale sui nomi ma è probabile che questa italianizzazione sistematica avesse come obiettivo di garantire l’uniformità linguistica. Così facendo, tuttavia, i cartografi avevano infranto una regola fondamentale, secondo cui i nomi dovevano essere riportati secondo la grafia del posto per garantire che la popolazione locale comprendesse i contenuti delle carte.

Per gli abitanti della Val Bregaglia i toponimi italianizzati erano del tutto estranei e incomprensibili. Si lamentavano di questi «nomi sbagliati» e pretendevano che sulle carte tornassero le denominazioni in bargaiot. Come osservò il direttore di swisstopo Leonz Held nel 1910, gli abitanti della Val Bregaglia non si diedero pace finché sui fogli della carta Siegfried non ricomparvero i nomi originari delle località interessate. Questo accadde nel 1906, quando i nomi geografici della Val Bregaglia riportati sulle carte tornarono alla grafia usata dalla popolazione.

Brucciato divenne Brüsce e Mongatto divenne Mungatt: nel 1906 in Val Bregaglia sparirono i toponimi italianizzati a favore del bargaiot (collezione di carte di swisstopo, LT TA 520, 1876 e 1906).

Per Virgile Rossel, consigliere nazionale bernese, la mescolanza di patois e lingua francese nelle carte ufficiali della Svizzera era semplicemente un pugno nell’occhio. Sosteneva che l’uso dei patois stesse ormai perdendo campo da decenni e che ben presto questi dialetti sarebbero stati completamente soppiantati dal francese standard. A dir suo, per rendere le carte utilizzabili sul lungo termine, gli elementi dialettali andavano sistematicamente eliminati.

Nel 1910 si rivolse al Consiglio federale chiedendo una «francesizzazione» sistematica dei nomi geografici della Svizzera romanda, citando uno dei suoi compagni di battaglia, il professore di romanistica dell’Università di Ginevra Ernest Muret:

Ernest Muret, 1910

Ormai, vi è l’impellente necessità di francesizzare i toponimi in patois accolti sulle carte e nell’uso ufficiale, con misura, con tatto, con discrezione, ma in modo generale, sistematico […].

Il Consiglio federale e il Servizio topografico respinsero la proposta di Rossel, sottolineando come le carte ufficiali non fossero un laboratorio sperimentale di politica linguistica. Piuttosto, dovevano riprodurre i nomi geografici secondo gli usi della popolazione locale. Inoltre, una carta topografica doveva descrivere il presente e non un futuro ipotetico e, di fatto, all’inizio del XX secolo in Svizzera romanda i patois erano ancora molto diffusi.

Nonostante questo netto rifiuto, poco tempo dopo i sostenitori della francesizzazione riuscirono a concretizzare la loro idea su alcune carte del Basso Vallese. L’artefice fu Charles Jacot-Guillarmod, un collaboratore di alto rango del Servizio topografico che condivideva le opinioni di Virgile Rossel. Nel 1908 il topografo le mise in pratica segretamente, introducendo di nascosto nomi francesi nel foglio della carta Siegfried 484 «Lavey-Morcles».

Nel 1908 Jacot-Guillarmod aveva «francesizzato» Javernaz in Javerne e Ausannaz in Euzanne. L’aggiornamento del 1928 annullò tuttavia queste modifiche forzate (collezione di carte di swisstopo, LT TA 484, 1908 e 1928).

Svizzero tedesco e tedesco standard

Anche nella Svizzera tedesca la storia è segnata da accesi dibattiti su carte e lingua. In particolare, ai tempi della carta Siegfried si rimproverava ai cartografi di usare nomi geografici eccessivamente vicini al tedesco standard, con troppo pochi riferimenti alla lingua parlata. Negli anni Trenta queste critiche si fecero sempre più forti. In particolare, il linguista di Zurigo Guntram Saladin si impegnò alacremente per armonizzare i nomi geografici al dialetto. Nel 1939 scrisse sulla Neue Zürcher Zeitung che solo il «dialetto vivente del popolo locale» aveva diritto a comparire sulle carte. I nomi tedeschi che «gli impiegati delle cancellerie e i geometri lontani dal popolo avevano per caso approvato e stabilito sulla carta» dovevano invece sparire.

Con le sue rivendicazioni, Guntram Saladin sfondò quella che era una porta aperta anche al Servizio topografico. Era infatti l’era della Difesa spirituale, il cui scopo era proteggere e valorizzare tutto ciò che era ritenuto «autenticamente svizzero», compreso il dialetto. Tuttavia, c’era anche chi vedeva in modo critico la dialettizzazione radicale dei nomi geografici. Eduard Imhof, professore zurighese di cartografia, sottolineò che se c’era una cosa tipicamente svizzera era proprio la coesistenza tra tedesco standard e dialetto:

Eduard Imhof, 1945

Il solo dialetto è un’utopia […]. Nei nostri piani e nelle nostre carte si riflette il destino linguistico della Svizzera, la coesistenza del dialetto e della lingua scritta. Dovremmo farci venire i capelli bianchi per questo?

Nel 1948, le discussioni sui toponimi della Svizzera tedesca sfociarono in un regolamento sull’ortografia dei nomi geografici, il quale dava ufficialmente la precedenza alle forme linguistiche svizzero-tedesche. La virata cartografica verso il dialetto fu subito evidente.

Kätsch divienne Chätsch, Rotgrub divienne Rotgrueb: nel passaggio dalla carta Siegfried alla carta nazionale, la lingua parlata prese il sopravvento (swisstopo Kartensammlung, LT TA 43, 1949, und LT LK 1071, 1956).

Una questione di identità

I nomi geografici fanno parte della nostra quotidianità e toccano profonde questioni di identità. A ciò si aggiunge il forte divario tra lingua scritta e lingua parlata, che contraddistingue molte regioni della Svizzera. Non sorprende quindi che i nomi di torrenti, colline, valli e pascoli facciano discutere ancora oggi.

Ma dopo quasi 200 anni di produzione cartografica ufficiale, almeno una certezza l’abbiamo: uniformare i toponimi in modo artificiale, che sia verso la lingua scritta o quella parlata, riscuote poco successo. Come scrisse Eduard Imhof nel 1945, la coesistenza del dialetto e della lingua scritta è «il destino linguistico della Svizzera» – così era ed è ancora oggi anche per le carte topografiche del nostro Paese.

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